Srila Jiva Gosvami
13 GENNAIO 2024 - Scomparsa
Srila Jiva Gosvami
Jiva Gosvami (1513-1598) traccia la propria genealogia nel Laghu-tosani, che è il suo commentario alla più grande opera di Sanatana Gosvami, il Vaisnava-tosani. La genealogia è importante perché fornisce le esigue informazioni esistenti a proposito delle origini familiari di Rupa, Sanatana, e Jiva. La vita e l’opera di Jiva Gosvami sono emblematiche del metodo devozionale dei vaisnava. Egli dedicava ogni attimo alla missione di codificare la filosofia di Sri Caitanya per il beneficio dell’umanità. Con questa finalità, egli organizzò il Movimento iniziato dai cinque Gosvami anziani. Per conseguenza Jiva Gosvami è conosciuto come il predicatore più sistematico tra i sei Gosvami, e a volte è stato definito il più grande filosofo in tutta la storia dell’India. In effetti Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada ha commentato: “I vaisnava sono di gran lunga i più grandi filosofi del mondo, e il più grande tra loro è Srila Jiva Gosvami.”
Jiva era il più giovane e più prolifico scrittore tra i sei Gosvami. Per giunta, fu l’ultimo tra loro a raggiungere Vrindavana, e non viene quindi citato in nessuna delle prime biografie di Sri Caitanya. Jiva, tuttavia, è glorificato in molti versi della Caitanya-caritamrita, ma anche in quell’opera è citato solitamente in connessione con gli altri cinque Gosvami. Il poco che si conosce riguardo a Sri Jiva deriva principalmente dal Bhakti-ratnakara, della quale opera si è parlato diffusamente in tutto questo libro, e da un altro precedente libro (sebbene anch’esso risalga al diciassettesimo secolo), intitolato Prema-vilasa. Quest’ultima opera è stata scritta da Nityananda dasa, uno degli studenti della moglie di Nityananda Prabhu, Jahnava devi, e viene quindi accettato da molti vaisnavacaitanyti come fonte autorevole.
Poiché le informazioni biografiche a proposito di Jiva Gosvami sono limitate, sono sorti molto dibattiti in relazione ai particolari. Alcuni eruditi per esempio, smentiscono che il 1513 sia l’anno di nascita di Sri Jiva, perché Sri Caitanya incontrò Rupa, Sanatana, e Anupama (padre di Jiva e fratello minore di Rupa e Sanatana) più tardi durante lo stesso anno, a Ramakeli. Ciò costituisce un problema perché, stando al Bhakti-ratnakara, anche Jiva si trovava a Ramakeli a quel tempo. E sebbene egli fosse solo un bambino, era abbastanza grande da raggiungere da solo il luogo dell’incontro con Sri Caitanya, tanto da poter assistere all’amorevole relazione tra i suoi zii, suo padre, e Sri Caitanya. Come poteva, dunque, Jiva essere nato nello stesso anno? L’unica conclusione possibile è che anche la data di nascita di Jiva sia approssimativa, come è già stato ammesso da Bhaktivinoda Thakura, oppure che Jiva fosse un neonato dalle facoltà miracolose. (Come per gli altri Gosvami, la posizione ontologica di Jiva è speciale! Egli era considerato un’incarnazione della gopi conosciuta col nome di Vilasa-manjari. Gli eventi soprannaturali quindi non sono da considerare impossibili.)
Qualunque sia la risposta, crescendo, Jiva Gosvami sviluppava anche tutti i sintomi fisici del maha-purusa, ossia di una divinità potenziata. Le descrizioni delle Scritture riguardo a queste anime presuppongono occhi allungati simili a fiori di loto, il naso e la fronte alti, le spalle e il petto ampi, le mani che sfiorano le ginocchia, e una radiosità simile a quella dell’oro fuso, oltre ad altri aspetti caratteristici. Il Bhakti-ratnakara afferma che Jiva Gosvami non era privo di alcuno di questi sintomi corporei... Inoltre egli era prodigioso: in tenera età conosceva a fondo argomenti quali la grammatica, la poesia, la logica e le interpretazioni delle Scritture.
Com’è descritto nel terzo capitolo, Sri Caitanya aveva conosciuto dapprima Rupa e Anupama a Ramakeli e quindi ebbe un secondo incontro che avvenne poco dopo ad Allahabad. Questo sarebbe stata l’ultima volta che Anupama incontrava il Maestro in questa incarnazione, perché proprio l’anno successivo, nel 1514, mentre viaggiava attraverso il Bengala diretto verso Puri, Anupama spirò sulle rive del Gange. Questo devastante evento ebbe un tremendo effetto su Jiva Gosvami, che, sebbene fosse solo un bambino a quel tempo, decise di rinunciare al mondo e alle sue crudeltà. Così, con un ardente passione nei confronti dell’illuminazione spirituale, Sri Jiva studiò le Scritture finché raggiunse i dieci anni di età. A quel tempo egli intraprese l’adorazione di Krishna-Balarama, le forme di murti di Krishna e di Suo fratello maggiore. Sri Jiva considerò Krishna e Balarama non-differenti da Sri Caitanya e Nityananda Prabhu. Questo periodo della vita di Jiva, e lo scenario che ne seguì, sono sintetizzati dall’autore e dallo studioso di sanscrito Stuart Elkan:
“Con la morte del padre, e i due zii che ora risiedevano a Vrindavana, si dice che Jiva perse ogni interesse per la ricerca mondana, e che sperasse soltanto di riuscire, un giorno, a raggiungere i due zii a Vrindavana. Per il tempo in cui raggiunse i vent’anni, anche sua madre morì, ed egli decise di condurre la vita del vaisnava appartato, in compagnia di Rupa e Sanatana... Prima di procedere per Vrindavana, Jiva visitò dapprima la città di Navadvipa (il luogo di nascita di Sri Caitanya), dove conobbe Nityananda che lo condusse in tutti i luoghi santi legati alla giovinezza di Caitanya. Seguendo l’ordine di Nityananda, Jiva proseguì verso Benares per completare i suoi studi nell’apprendimento del sanscrito.”
Particolari interessanti a proposito della vita di Jiva Gosvami a Navadvipa si trovano nel Navadvip Dham Mahatmya di Jiva Gosvami. Fin dalla più tenera età Jiva aveva desiderato visitare il luogo di nascita di Sri Caitanya. La madre di Jiva non voleva che il suo unico figlio viaggiasse e conducesse l’austera vita del rinunciante. Ciò nonostante Jiva concepì uno stratagemma grazie al quale propose di compiere una breve visita alla sua ancestrale dimora di Fatehabad. Sua madre acconsentì e Jiva fece in modo che il barcaiolo che avrebbe dovuto portarlo a Fatehabad, lo conducesse invece a Navadvipa.
Una volta a Navadvipa, Sri Jiva incontrò Nityananda Prabhu, com’è stato annotato da Stuart Elkman. Jiva riconobbe immediatamente Nityananda come non-differente dalla sua Divinità di Balarama. “Tu sei la forma dell’universo”, disse Jiva a Nityananda, “Tu sei Balarama. In realtà sei tanto infinito che io non posso descrivere appropriatamente le Tue qualità. Una cosa so per certo, che Tu sei il mio eterno padrone e io il Tuo servitore. La mia unica aspirazione è l’ombra dei Tuoi piedi di loto. La persona a cui Tu accordi la Tua misericordia ottiene senza difficoltà i piedi di loto di Sri Caitanya, e viene sommerso dall’acqua dell’amore per Dio. Senza la Tua misericordia nessuno potrebbe ottenere Sri Caitanya, anche se lo adorasse per cento vite. Per questo, io prego di ricevere il Tuo sguardo misericordioso.”
Dopo aver glorificato Nityananda Prabhu in questo modo, Sri Jiva venne accompagnato da Nityananda Prabhu Stesso in una visita completa di Navadvipa. Dapprima si recarono al luogo di nascita di Sri Caitanya; poi visitarono la famosa casa di Srivasa Thakura, dove una volta si tenevano estatici kirtan notturni; là, essi incontrarono Srivasa, il quale li condusse a casa di Saci; Sacidevi e Visnupriya, la vedova di Sri Caitanya, cucinarono del prasadam (cibo sacro vegetariano) per loro; quindi Vamsivadana, il servitore di Saci, li accompagnò al tempio di Jagannatha Misra, dove il padre di Sri Caitanya aveva adorato la Divinità di famiglia di Laksmi-Narayana. Fu così che Jiva Gosvami visitò tutte e nove le Isole di Navadvipa.
Dopo la loro visita al santo dhama, Nityananda Prabhu disse a Sri Jiva di recarsi a Vrindavana passando da Benares. La ragione per cui doveva attraversare Benares era quella di individuare Madhusudana Bhattacarya, un importante discepolo di Sarvabhauma Bhattacarya, e prendere lezioni da lui. Vacaspati sarebbe diventato il consigliere di Jiva Gosvami. Giunto a Benares, Jiva Gosvami trovò rapidamente Madhusudana Vacaspati e accettò la sua tutela. In un periodo di tempo relativamente breve, Sri Jiva divenne particolarmente abile in ogni aspetto della filosofia del Vedanta e guadagnò la reputazione di eminente erudito. Avendo scritto il Sarvasangvadini, nel quale egli si riferisce a quei commentatori che divergono dal Vedanta Sutra, quali Madhva, Ramanuja, Sankara, e Vacaspati, egli fu riconosciuto come autorità completa e di vasta esperienza in tutti i rami del sapere. Attualmente, la Benares Hindi University, onora Jiva dedicando un intero dipartimento allo studio delle sue opere.
Una volta stabilito a Benares, Sri Jiva rammentò le istruzioni di Nityananda Prabhu. Quando si trovava a Navadvipa, Nityananda Prabhu gli aveva detto: “Recati presto a Vrindavana. Quel luogo è stato assegnato da Sri Caitanya Mahaprabhu alla tua famiglia, a tuo padre e ai tuoi zii, quindi devi recarti là immediatamente.” Questo ricordo, unito all’ardente desiderio di assistere Rupa e Sanatana, lo influenzarono a lasciare Benares e a partire per Vrindavana. Krishnadas Kaviraja, autore della Caitanya-caritamrita, conferma che a quel tempo Jiva Gosvami aveva vent’anni e si era recato a Vrindavana per svolgere l’incarico assegnatogli da Nityananda Prabhu.
Oltre al massiccio contributo letterario di Jiva Gosvami (è detto che egli compilò non meno di 400.000 versi sanscriti!), non si conosceva davvero troppo a proposito della sua permanenza a Vrindavana. Secondo il Bhakti-ratnakara, i devoti (che sono citati qui di seguito assieme con altri) si trovavano laggiù la prima volta che Jiva arrivò, e lo accolsero con amore e amicizia: gli altri cinque Gosvami, Prabodhananda Sarasvati, Kasisvan Pandita, e Krishnadasa Kaviraja. Rupa e Sanatana furono felicissimi di vedere il loro illustre nipote in compagnia dei devoti di Vrindavana.
Poco dopo essere giunto nella santa terra di Krishna, Sri Jiva avvicinò Sanatana, lo zio più anziano, per essere iniziato nella linea dei vaisnava caitanyti. Ma Sanatana, per umiltà, rimandò la responsabilità di iniziare Jiva a Rupa Gosvami. Prima che Rupa iniziasse Sri Jiva, però, egli decise di mettere alla prova il suo temperamento. A questo scopo, Rupa dette a Jiva degli umili servizi da compiere. Fece preparare a Jiva gli oggetti per l’adorazione delle Divinità; gli fece chiedere l’elemosina, e preparare del cibo; poi fece ricercare dei testi; si fece massaggiare i piedi e preparare foglie di palma per i suoi scritti. Assai compiaciuto dal senso altruistico del servizio di Jiva Gosvami, Sri Rupa lo iniziò formalmente al vaisnavismo caitanyta. Erano passati alcuni mesi dall’iniziazione di Jiva, quando uno studioso erudito di nome Rupanarayana Sarasvati arrivò a Vrindavana. Egli era famoso come uno degli uomini più colti del Paese, e si diceva che non potesse essere sconfitto nei dibattiti filosofici. Infatti, egli era definito un digvijayi, cioè “una persona che ha superato tutti in ogni direzione”. La sua superbia, tuttavia, era vasta quanto la sua cultura. E quando si recava di villaggio in villaggio per disputare con gli eruditi del luogo, egli richiedeva un jayapatra, ossia un “certificato di vittoria” da parte dei suoi oppositori.
A quel tempo, Rupa e Sanatana erano conosciuti in tutto il Nord dell’India come i più grandi tra tutti gli eruditi. Secondo la sua solita arroganza, Rupanarayana sfidò rudemente i due famosi fratelli in un dibattito. Quando Rupa e Sanatana rifiutarono, il presuntuoso Rupanarayana disse: “Voi siete ovviamente degli impostori! Se foste eruditi quanto le persone vi ritengono, accettereste tutti e due la mia sfida.” Con grande umiltà, Rupa e Sanatana dissero che la loro reputazione era stata esagerata dagli amici, e che in realtà loro non erano capaci di sconfiggere un individuo tanto erudito da essere imbattibile. Rupanarayana fu assai compiaciuto di sentirlo. Pensando immediatamente alla sua reputazione, chiese il suo solito jayapatra per poter dimostrare che aveva sconfitto anche Rupa e Sanatana. Senza alcuna esitazione, i due umili fratelli firmarono il suo certificato e lo lasciarono andare per la sua strada.
Accecato dalla vanità, Rupanarayana sentì di essere ormai il più grande erudito di tutti i tempi. Trascurò completamente il fatto di aver sconfitto Rupa e Sanatana solo per abbandono; infatti era stata solamente la loro umiltà ad accordargli una facile vittoria. Inoltre Rupanarayana seppe presto che Rupa e Sanatana avevano un giovane nipote che aveva rapidamente sviluppato una reputazione pari alla loro. Rupanarayana sapeva che se voleva davvero affermarsi come il più grande degli eruditi avrebbe dovuto sconfiggere anche il giovane Jiva. Avvicinando Jiva Gosvami, Rupanarayana presentò la lettera con l’affermazione della sconfitta di Rupa e Sanatana. Jiva era irritato. Come potevano i suoi maestri, Rupa e Sanatana, che erano compagni intimi del Signore, essere sconfitti da un comune studioso —fosse anche dal più grande di essi? Rupanarayana pretese che Jiva iniziasse il dibattito con lui, perché una volta sconfitto Jiva, egli disse, la sua reputazione sarebbe stata impareggiabile. Quando Jiva udì la disgustosa vanagloria di Rupanarayana, provò l’intenso impulso di zittirlo una volta per sempre. La giovinezza di Jiva ebbe la meglio. Sebbene i suoi zii evitassero di sprecare del tempo prezioso in qualche dibattito mondano, Jiva accettò la sfida.
Il giovane Jiva trascorse sette giorni sulle rive della Yamuna cercando di riscattare la reputazione dei suoi zii. Il giorno finale, la competizione degli eruditi fu completata. Jiva aveva vinto il dibattito. Quindi Rupanarayana se ne andò in grande vergogna, e non venne più rivisto a Vrindavana. Jiva, da parte sua, era ansioso di condividere la propria vittoria con Rupa e Sanatana. Egli era particolarmente eccitato per il desiderio di raccontare le buone notizie a Rupa, il suo guru. Quando si avvicinò a Rupa, tuttavia, venne rimproverato severamente: “Hai accettato prematuramente lo stadio della vita di rinuncia”, gli disse Rupa, “e per conseguenza, non sei riuscito a vincere la tua collera e il senso di orgoglio. Nessuno che gioisca nell’umiliare il prossimo, o che affermi i propri meriti, è adatto a vivere a Vrindavana. Per questo devi essere allontanato, e dovresti andartene immediatamente.” Severamente umiliato, Jiva si prosternò davanti al suo maestro e lasciò rapidamente Vrindavana per la vicina Mathura. Egli prese a cuore le dure parole di Rupa Gosvami, e praticò rigide austerità nel tentativo di riscattarsi dalla propria cattiva condotta. È detto che egli visse nella cavità di un’albero, che mangiava dell’umile cibo (una sola volta al giorno), e che s’impegnò in un voto di silenzio che sarebbe durato un anno intero.
Questo esilio avrebbe potuto durare anche più a lungo, ma fu abbreviato grazie alla misericordia di Sanatana Gosvami. Quando Sanatana scoprì ciò che era accaduto a Jiva, si recò immediatamente da Rupa e gli disse che stava trascurando di seguire uno degli insegnamenti cardinali di Sri Caitanya. Rupa disse: ”Che cosa? Qual è l’insegnamento che non sto seguendo? Dimmelo, ti prego.” Allora Sanatana disse: “Recita gli insegnamenti del nostro Maestro. Quando arriverai a quello in questione te lo farò sapere.” Recitando pazientemente tutti i precetti di Sri Caitanya, Rupa giunse infine a “Jiva doya”, che significa “Benevolenza verso tutti gli esseri viventi”. Doya significa “benevolenza”, e Jiva significa “esseri viventi”. Jiva, tuttavia, è anche il nome di Jiva Gosvami. Realizzando l’importanza del curioso gioco di parole di Sanatana, Rupa rise cordialmente e decise di essere “benevolo verso Jiva”. In questa maniera, Rupa revocò il suo esilio.
I detrattori di Jiva Gosvami sottolineano scioccamente questo episodio della vita di Jiva nel tentativo di dimostrare che egli agì scorrettamente. I vaisnava seguaci di Sri Caitanya Mahaprabhu, tuttavia, comprendono che Jiva stava soltanto recitando una parte al fine di istruire altri riguardo alle insidie dell’erudizione mondana. I critici affermano che Jiva avrebbe dovuto essere più umile, e che se lo fosse stato, non sarebbe mai stato esiliato da Rupa Gosvami. Tali detrattori trascurano il fatto che se Jiva non avesse dibattuto con l’arrogante erudito, il vaisnavismo sarebbe caduto in cattiva reputazione, perché la gente avrebbe continuato a credere che Rupa e Sanatana erano stati sconfitti da Rupanarayana. A questo proposito Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada commenta:
“[I detrattori di Jiva Gosvami] non sanno che umiltà e mitezza sono appropriate quando è insultato il proprio onore, ma quando Sri Visnu o gli acarya sono ingiuriati bisogna agire, non accontentarsi di essere umili e miti. Si deve seguire l’esempio dato da Sri Caitanya Mahaprabhu. Egli disse nella Sua preghiera: ‘Si deve cantare il santo nome del Signore in un umile stato di mente, pensando di essere inferiori a un filo di paglia sulla strada. Si deve essere più tolleranti di un albero e pronti a offrire agli altri tutto il nostro rispetto. In tale stato di mente è possibile cantare il santo nome del Signore costantemente.’ Tuttavia, quando il Signore fu informato che Nityananda Prabhu era stato ferito da Jagai e Madhai, infuocato dalla collera, si recò sul posto deciso a ucciderli. Così Sri Caitanya spiegò il verso con l’esempio del Suo comportamento personale. Si devono tollerare gli insulti rivolti alla propria persona, ma quando l’ingiuria è rivolta contro i superiori, come gli altri vaisnava, non ci si deve comportare in un modo umile e mite, ma si devono prendere misure adeguate per contrattaccare tale bestemmia.”
Ci sono altre due storie che sono state fabbricate per diffamare Jiva Gosvami. La prima storia asserisce che Krishnadasa Kaviraja, dopo aver completato la sua opera principale (magnum opus) conosciuta come Caitanya-caritamrita, mostrò il proprio lavoro a Jiva, il quale in seguito lo buttò in un pozzo, pensando che il libro di Kaviraja fosse troppo competitivo per il suo lavoro. Krishnadasa Kaviraja, continua la storia, rimase tanto disgustato dall’azione del Gosvami, che morì immediatamente. Il problema di questa storia, però, è che non trova alcun supporto storico o testuale, né da parte degli storici né dei praticanti. La seconda storia inventata dai detrattori di Sri Jiva Gosvami è forse più seria della prima. Costoro accusano Jiva di negare l’importante dottrina filosofica della parakiya-rasa, la quale afferma che la relazione di Krishna con le gopi sposate è superiore alla Sua relazione con le gopi nubili (sebbene dal punto di vista convenzionale sia immorale avere relazioni con donne sposate).
Coloro che non riescono a concepire la posizione trascendentale di Krishna, preferiscono pensare a Radha e Krishna come se fossero sposati (svakiya-rasa), e in questo modo essi riescono a sistemare la relazione di Radharani con Lui. Questi critici non riescono mai a rendersi conto che i codici etici mondani e i principi morali perdono ogni significato quando sono riferiti a Dio e ai Suoi eterni associati. Mentre i devoti in questo mondo sono obbligati a seguire i più elevati livelli dell’etica e della moralità, nel regno di Dio esiste un livello completamente differente: ogni cosa viene calcolata in base a quanto essa porta piacere al Signore. Incapaci di accettare che Radharani è effettivamente sposata con qualcun altro, i neofiti sulla via della spiritualità non riescono a comprendere che la relazione tra Radha e Krishna diviene ancor più dolce a causa dell’emozionante rischio generato dalla Loro relazione extraconiugale. Bisogna ricordare inoltre, che nel mondo materiale una tale relazione è considerata indegna. Tutte queste sono ragioni per cui nel mondo spirituale —che è esattamente l’opposto del mondo materiale—questa relazione è considerata lo zenit delle relazioni amorose trascendentali.
Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Svami Prabhupada commenta così il presunto rifiuto della parakiya-rasa da parte di Srila Jiva Gosvami:
“In realtà, quando Jiva Gosvami era in vita, alcuni suoi seguaci non apprezzarono la parakiya-rasa delle gopi, per questa ragione Srila Jiva Gosvami, considerando il loro beneficio spirituale, sostenne la svakiya-rasa nel timore che i sahajiya sfruttassero la parakiya-rasa come stanno facendo al presente. Sfortunatamente a Vrindavana e a Navadvipa è diventato di moda tra i sahajiya, nella loro degradazione, trovare un partner di sesso opposto e fare vita in comune al di fuori del matrimonio per compiere servizio devozionale secondo la parakiya-rasa. Prevedendo ciò, Srila Jiva Gosvami aveva sostenuto la svakiya-rasa e più tardi tutti gli acarya vaisnava lo avevavo approvato. Srila Jiva Gosvami non si oppose mai alla trascendentale parakiya-rasa, né alcun altro vaisnava la disapprovò. Srila Jiva Gosvami seguì rigidamente i guru e i vaisnava suoi predecessori, Srila Rupa e Sanatana Gosvami. Srila Krishnadasa Kaviraja Gosvami accettò Srila Jiva Gosvami come uno dei suoi guru istruttori”.
Le critiche infondate dirette contro Jiva sono state a lungo messe a tacere dalle coraggiose autorità e dagli eruditi del vaisnavismo Gaudiya, come Bhaktivinoda Thakura, Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura, e Sua Divina Grazia Srila Prabhupada. In effetti, gli storici ora, considerano Sri Jiva come uno dei più importanti maestri della teologia caitanyta, e gli attribuiscono il mantenimento della tradizione. Nonostante il suo veemente spirito di predica, egli serviva il duplice scopo di portare avanti la missione dei Gosvami, di codificare gli insegnamenti di Sri Caitanya e di stimolare altri a innalzare il vessillo del movimento del sankirtan. Ciò è stato annotato da Amarnath Chatterjee, professore di storia all’Università di Delhi:
“Tra i Sei Gosvami, solo Jiva può essere visto come un predicatore sistematico. Fu lui a pianificare l’opera di propagazione in Bengala e in Orissa durante il periodo post-Caitanya-Nityananda (il diciassettesimo secolo). Per conseguenza, egli istruì Srinivasa, Narottama, e Syamananda sui principi fondamentali della fede vaisnava, affidando loro il lavoro di predica, e dirigendoli infine a procedere verso le province orientali con la letteratura vaisnava.”
La fama di Jiva Gosvami si diffuse in tutta l’India. Come risultato, l’Imperatore Akbar, più tollerante dei governatori moghul, si recò a Vrindavana nell’anno 1570, proprio per avere un’udienza esclusiva con il Gosvami. È detto che Akbar fu commosso al di là di ogni parola, tanto che iniziò a patrocinare l’opera dei Gosvami. Mentre vi sono eruditi che mettono in dubbio l’autenticità di questo evento, l’entusiasta patrocinio di Akbar nei confronti dei Gosvami è spiegato dall’eminente storico F. S. Growser: “Akbar il Grande, com’è conosciuto, fu condotto bendato nel giardino chiamato Nidhiban. Là, gli fu rivelata una visione tanto meravigliosa che Nidhiban fu pronto a riconoscere quel luogo come una terra davvero virtuosa. Da qui derivò il cordiale sostegno che egli offrì a servizio dei raja (i Gosvami), quando essi espressero il desiderio di erigere una serie di palazzi degni della Divinità locale.”
Si può concludere quindi che la visita di Akbar giocò un ruolo centrale nello sviluppo di Vrindavana in quegli anni formativi. Avendo ricevuto, per grazia di Jiva Gosvami, un’autentica esperienza spirituale, il grande imperatore indirizzò i suoi uomini a dare inizio alla costruzione dei quattro templi originali di Vrindavana: Madan-Mohan, Govindadeva, Gopinatha, e Jugal-Kishor. Si dice che a quel tempo Jiva Gosvami incontrasse molte altre eminenti personalità, come la poetessa Mirabai, ma riguardo a questi incontri sono reperibili soltanto scarne informazioni. Si sa invece molto di più a proposito della costruzione del tempio di Radha-Damodar da parte di Jiva Gosvami, uno dei più importanti sviluppi verificatesi durante la sua permanenza a Vrindavana. Quando la terra venne acquistata da un ricco servitore di Akbar di nome Alisha Chaudhari (con la precisa intenzione di assistere Sri Jiva a diffondere il vaisnavismo), il Gosvami naturalmente l’accettò come opportunità per adorare appropriatamente una coppia di Divinità di Radha-Krishna che gli era stata donata da Rupa Gosvami. Fu così che Jiva sovrintese alla costruzione del Radha-Damodara Mandir, uno dei templi classici di Vrindavana.
Nel cortile di questo tempio vi sono alcune stanze che tradizionalmente vengono affittate agli uomini santi quando giungono a onorare il tempio di Jiva Gosvami, come tributo a Radha-Damodar. Sul lato orientale del terreno del tempio c’è la stanza dove Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Srila Prabhupada risiedette per sei anni prima di lasciare l’India e salpare verso gli Stati Uniti nel 1965. Mentre si trovava in quella stanza, Srila Prabhupada produsse i primi tre volumi delle sue traduzioni e del commentario allo Srimad Bhagavatam. Con l’ispirazione di Jiva Gosvami e di Rupa Gosvami (la cui tomba si trova in quello stesso cortile), Srila Prabhupada preparava la strategia per formare la sua Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna, che fu da lui utilizzata per diffondere gli insegnamenti e la pratica del vaisnavismo caitanyta in tutto il mondo.
È detto che anche i sei Gosvami erano soliti incontrarsi al tempio di Radha-Damodar e progettare la propagazione della coscienza di Krishna. Per facilitare questo piano, Jiva Gosvami —con gli uomini affidatigli da Akbar— diresse la costruzione di una granth-bhandara, una grande biblioteca, ove egli avrebbe collocato tutte le copie manoscritte delle granth (Scritture) e dei libri di Rupa, Sanatana, e degli altri Gosvami. La premura di Jiva nel preservare queste preziose opere può essere vista come il suo Sankalpa-patra, ossia il suo ultimo desiderio (o testamento). Preservare la tradizione servendosi di prolifici raggiungimenti letterari diventò il più importante contributo di Jiva al vaisnavismo caitanyta. Oggi gli eruditi si meravigliano dell’imponente produzione di letteratura teologica di Jiva Gosvami. La realizzazione di Jiva a questo proposito è stata annotata dall’autore e storico Sushil Kumar De:
“Jiva Gosvami fu uno degli scrittori più prolifici, versatili, e produttivi, ed è quindi difficile offrire un elenco completo delle sue opere. L’enumerazione di Krishnadasa Kaviraja (Madhya 1; Antya 7) è molto breve, ma il Bhakti-ratnakara cita alcuni versi sanscriti che attribuiscono a Jiva più di venti opere differenti. La maggior parte di queste opere, però, sono commentari, riassunti, o supplementi, che delucidano i dotti trattati dei suoi zii, i quali trovarono in lui un interprete assai competente ed erudito.”
Jiva Gosvami compose e pubblicò almeno venticinque libri. Essi sono tutti considerati importanti classici nella linea di Sri Caitanya, e sono elencati nel modo seguente:1) Hari-namamrita-vyakarana, 2) Sutra-malika, 3) Dhatu-sagraha, 4) Krishnarcha-dipika, 5) Gopal-virudavali, 6) Rasamrita-shesha, 7) Sri Madhava-mahotsav, 8) Sri Sankalpa-kalpabriksa, 9) Bhavartha-suchara-champu, 10) Gopal-tapani-tika, 11) Brahma-sanghita-tika, conosciuto anche come Dik-darshani (commentario alla Brahma-sanghita), 12) Bhakti-rasamrita-sesa-rochani (un commentario all’Ujjvala-nilamani di Sri Rupa), 14) Yogasara-stava-tika (un commentario al Padma Purana), 15) Gayatri-bhashya (una spiegazione del Gayatri-mantra come riferita nell’Agni Purana), 16) Una elaborata descrizione dei piedi di loto di Krishna, che segue in particolare la descrizione del Padma Purana, 17) Una descrizione dei piedi di loto di Srimati Radharani, 18) Gopal-champu (in due parti), e 19-27) i sette Sandarbha: Krama, Tattva, Bhagavat, Paramatma, Krishna, Bhakti, e le Priti Sandarbha.
Sebbene tutte queste opere siano importanti, alcune sono particolarmente degne di nota. La grammatica di Jiva Gosvami, intitolata Hari-namamrita-vyakarana, per esempio è considerata conferitrice di un effetto quasi mistico sui suoi lettori. Sua Divina Grazia Srila Prabhupada ha commentato che se si studia quest’opera, si possono imparare le regole della grammatica sanscrita e diventare simultaneamente un grande devoto di Krishna. Janardana Cakravarti ha spiegato questa grammatica con una certa profondità: “Un trattato assai geniale... utilizzare il nome di Dio come metodo per enunciare le regole della grammatica sanscrita. Esso è diviso in diciotto prakarana, per esempio Sarvesvara-sandhi, Visnu-jana-sandhi, Visnusarga-sandhi, Visnupad-prakaran, ecc.” Il precedente di spiegare la grammatica con l’utilizzo dei molti nomi di Sri Krishna, naturalmente, fu stabilito da Sri Caitanya Stesso. Jiva Gosvami cercò così di emulare il suo Maestro.
Tuttavia, a superare perfino la sua grammatica in ordine di importanza, ci sono le ancor più intense opere teologiche di Jiva. Il suo Radha-krishnarcana-dipika, per esempio, è una composizione magistrale che offre dettagli a proposito dell’adorazione di Radha e Krishna insieme. Questo è un contributo significativo alla sampradaya caitanyta. Così è anche per il Gopal Champu di Jiva Gosvami, che è diviso in due parti. La prima parte, purva, è costituita da trentatré capitoli che descrivono elaboratamente le attività di Krishna a Vrindavana. La seconda parte, uttara, è costituita di ventisette capitoli e descrive le attività del Signore a Mathura e a Dvaraka. Nella sua totalità, il Gopal Champu è un grande poema epico che tratta dell’intera gamma delle attività di Krishna nella Sua manifestazione originale. È stato scritto in un elaborato stile poetico e con profonda devozione. Anche il famoso Krama-sandarbha è significativo. Spesso descritto come il “settimo” dei sei sandarbha, è l’elaborato commentario di Jiva a tutti i dodici canti dello Srimad-Bhagavatam. Più importanti, tuttavia, sono i Sat (sei) sandarbha stessi. Una sintesi del loro contenuto incredibilmente accurato è dato da Sua Divina Grazia Srila Prabhupada:
“Il Bhagavat-sandarbha è conosciuto anche come Sat-sandarbha. Nella prima parte, detta Tattva-sandarbha, è dimostrato che lo Srimad-Bhagavatam è la testimonianza più autorevole e diretta sulla Verità Assoluta. Il secondo sandarbha, detto Bhagavat-sandarbha, fa una distinzione tra il Brahman impersonale e il Paramatma localizzato, descrive il mondo spirituale e il dominio dell’influenza della virtù quando è esente dalla contaminazione delle altre due influenze materiali... Si parla anche del carattere eterno dell’adorazione della Divinità, della onnipotenza della Divinità, della Sua onnipresenza, della Sua capacità di dare rifugio a tutti, delle Sue potenze grossolane e sottili, delle Sue manifestazioni personali, delle Sue espressioni di forma, di qualità e di divertimenti, della Sua posizione trascendentale e della Sua forma completa. Il terzo sandarbha, intitolato Paramatma-sandarbha, parla del Paramatma (l’Anima Suprema) e spiega che l’Anima Suprema esiste in tutti gli esseri viventi che sono miliardi di miliardi. Si parla delle differenze tra i guna-avatara, degli esseri individuali, di maya, del mondo materiale, della teoria della trasformazione, spiega che i lila-avatara rispondono ai desideri dei devoti e infine che Dio, la Persona Suprema, è caratterizzato da sei perfezioni.
Il quarto sandarbha, detto Krishna-sandarbha, dimostra che Krishna è Dio, la Persona Suprema. Segue poi la trattazione dei divertimenti e delle qualità di Krishna, il Suo controllo sui purusa-avatara e così via... Vi è contenuta anche la descrizione del pianeta Goloka e di Vrindavana (l’eterna dimora di Krishna), si parla dell’identità di Goloka e di Vrindavana, degli Yadava e dei pastorelli (tutti eterni compagni di Krishna), dell’uguaglianza e del significato dei divertimenti manifestati e non–manifestati, della manifestazione di Krishna a Gokula, delle regine di Dvaraka (che sono espansioni della potenza interna), e della supremazia assoluta delle gopi. Segue poi un elenco dei nomi delle gopi e in quest’ambito si parla della posizione suprema di Srimati Radharani.
Nel quinto sandarbha, detto Bhakti-sandarbha, si parla del modo in cui il servizio devozionale può essere compiuto direttamente... Aggiunge che la bhakti permette di raggiungere qualsiasi successo, perché trascende tutte le influenze materiali. Spiega anche come il sé si manifesta attraverso la bhakti; parla poi della felicità del sé e afferma che la bhakti, anche se eseguita in modo imperfetto, permette di raggiungere i piedi di loto di Dio... Parla del maha-bhagavata (il devoto liberato), e del devoto comune... Contiene inoltre un discorso sulla raganuga-bhakti (l’amore spontaneo per Dio), sull’intento specifico nel diventare devoti di Sri Krishna e offre uno studio comparato degli altri livelli di perfezione.
Il sesto sandarbha, detto Priti-sandarbha, è un trattato sull’amore per Dio. Vi è spiegato che grazie all’amore per Dio si raggiunge la perfetta liberazione e l’obiettivo più elevato della vita. Viene inoltre tracciata la distinzione tra la condizione liberata del personalista e quella dell’impersonalista... Tra tutte le forme di liberazione, la più elevata è quella arricchita dal servizio d’amore a Dio, e la più alta perfezione della vita consiste nell’incontrare Dio, la Persona Suprema. La liberazione immediata contrasta con la liberazione che si raggiunge attraverso un metodo graduale. Sia la realizzazione del Brahman che l’incontro con Dio, la Persona Suprema, sono considerate liberazioni nel corso della vita... Infine si parla della sovrapposizione di diversi rasa, di santa (la neutralità), del servizio, del desiderio di prendere rifugio, dell’amore paterno o materno, dell’amore coniugale, del godimento trascendentale diretto e del godimento in separazione, dell’attrazione preliminare e delle glorie di Srimati Radharani.”
In questi Sandarbha, poi, Jiva Gosvami procede nell’adempiere le mete non soltanto dei suoi prestigiosi zii e di Sri Caitanya, ma del mondo intero. Questo accade perché, —che lo sappiano o no— tutti sono assetati di conoscenza spirituale, e tale conoscenza è stata consegnata fino al massimo grado nel Sat-sandarbha di Jiva Gosvami. I filosofi occidentali ora studiano i sandarbha e si meravigliano della loro saggezza e profondità. A volte si dice che i sei sandarbha rappresentano la perfezione di sambandha-gyan, abhideya-gyan, e prayojana-gyan. Di questi sei, i primi quattro sandarbha sono dedicati ai sambandha, il quinto è dedicato ad abhideya, e il sesto a prayojana. Per conseguenza, il glorioso Sat-sandarbha è considerato il più importante trattato filosofico nella storia del vaisnavismo caitanyta.
(Tratto da I sei Gosmvami di Vrindavana di Satyaraja dasa, Steven Rosen - All rights reserved)
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